Fino ad oggi è stata sicuramente un’estate molto movimentata e non solo per la nautica in genere. Ma la prima questione di cui vogliamo parlare e commentare riguarda però la brexit, dove i suoi effetti cominciano sibillinamente a farsi sentire anche nel comparto marittimo dove, a ben vedere, mancano comunque tutte le basi per allarmarsi, almeno per ora.

Ma lasciando per un momento da parte gli allarmismi, più o meno giustificati, è la percezione a farla da padrona. I primi riflessi si sono infatti registrati sulla bandiera inglese, soprattutto per chi la utilizza ai fini commerciali, dove la paura, in teoria quantomeno giustificabile, riguarda sicuramente la sfera fiscale e operativa per tutte quelle unità che issano la Red Ensign “pura” (cioè quella UK) che potrebbe trasformarsi in una bandiera extra comunitaria. Da molti viene infatti detto che una bandiera extra comunitaria non può (o meglio non potrebbe) navigare in acquee europee e, di conseguenza, anche italiane.

Qui è bene fissare il punto, ricorrendo a ciò che ci dice la norma per capire a fondo queste dinamiche. Anzitutto, a livello internazionale, vi sono da citare tre fondamentali aspetti:

– Non esistono normative comunitarie atte a regolamentare la navigazione marittima in acquee comunitarie;

– Le principali convenzioni internazionali garantiscono (con sole limitazioni per le navi militari) il concetto della libertà di navigazione per tutte le navi commerciali, sia da traffico che da diporto;

– La convenzione del 1982, la famosa Montego Bay sul diritto del mare, disciplina ad esempio che per le unità, di qualsiasi specie, in navigazione d’alto mare, deve esistere uno stretto collegamento tra la nave e la bandiera di appartenenza, provato dai documenti di bordo.

Inoltre, tralasciando per il momento le dinamiche fiscali, le quali sono assai note (IVA, Importazione, ecc.), vi sono anche da segnalare i seguenti aspetti ricadenti sulle “disposizioni comuni alle unità da diporto di bandiera dei Paesi dell’Unione Europea e Paesi Terzi”.

Le unità da diporto, di qualsiasi bandiera, possono navigare liberamente nelle acque nazionali e sostare nei porti e approdi turistici senza alcuna formalità, con i documenti di bordo (licenza di navigazione, e altri documenti previsti dallo Stato di bandiera) e quelli relativi alla sicurezza della navigazione (certificato di sicurezza, mezzi di salvataggio e attrezzature di sicurezza, ecc.), stabiliti dalla legislazione del Paese d’appartenenza.

Le medesime unità:

– non sono soggette alle formalità amministrative relative all’arrivo in porto e alla partenza, e durante la sosta non devono pagare alcuna tassa o diritto marittimo;

– quando sono dirette in un porto fuori dal territorio comunitario possono imbarcare le provviste di bordo in franchigia doganale; per ottenere il beneficio basta richiedere a qualsiasi Ufficio marittimo il rilascio del “Giornale partenze e arrivi”. Ma dopo l’imbarco delle provviste l’unità deve lasciare però il porto nelle successive otto ore;

– in caso di sinistro di unità da diporto, ad eccezione di quelle impiegate nel charter, l’autorità marittima provvede alla raccolta delle informazioni e alle indagini sommarie ma per procedere ad inchiesta formale per stabilire le cause e la responsabilità del sinistro gli interessati devono presentare apposita domanda;

– nelle acque territoriali nazionali (12 miglia dalla linea di base) le unità devono osservare le disposizioni emanate dalle Autorità marittime in materia di navigazione, di divieti e di circolazione nella fascia costiera riservata a bagnanti (200-500 m. dalla costa a seconda delle località). Inoltre, secondo le più recenti direttive ministeriali, durante la stagione estiva la velocità dei mezzi nautici nella fascia dei mille metri dalla costa non deve superare i 10 nodi.

Infine, ma non in ordine d’importanza, vanno anche doverosamente citate le disposizioni generali in materia:

Alle unità da diporto di qualsiasi bandiera si applicano le seguenti Convenzioni internazionali:

– Colreg ‘72 – Regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare;

– Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10 dicembre 1982 sul diritto del mare.

– Convenzione di Londra del 28 aprile 1989 sul soccorso in mare.

Certamente da quanto su esposto sono assai chiari gli aspetti normativi che disciplinano queste dinamiche.

Ma che dire di come, probabilmente, verrà gestito il capitolo registro inglese dal governo britannico? Per il momento possiamo tentare di fare solo delle valutazioni verosimili.

Anzitutto c’è da dire che il registro inglese ha sempre applicato una vera e propria politica di business per attrarre armatori, se non compagnie di navigazione, al fine di far registrare unità di qualsiasi tipologia, dal diporto allo shipping. Ciò dovrebbe far presagire, quantomeno, una serie di accordi, con l’UE, che tenteranno di tutelare un giro di interessi economici di tutto rispetto. Fattore, quest’ultimo, tutto da seguire passo passo nei prossimi mesi per capire se la bandiera inglese sarà ancora protagonista tra le migliori soluzioni, a livello mondiale, sia per il diporto che per la navigazione commerciale.

Daniele Motta
Perito e Consulente Navale

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